Prima glielo chiedo io poi lei lo chiede a me. Ognuno di noi
accetta.
Non ci sono chiarimenti da chiedere. Dopo quasi
undici
anni
passati
insieme, sappiamo come la pensiamo e anche di più. E
anche
questo
ritardo è ormai maturo. Adesso ha un senso. Immagino
dovremmo essere
in un
giardino pieno di rose o perlomeno su una magnifica
scogliera
a picco
sul mare, e invece siamo seduti sul divano, quello su cui
a volte
il
sonno ci sorprende con il libro ancora aperto, oppure dove
un
vecchio film con Bette Davis si sbobina
in un
fascinoso bianco e nero: le fiamme del caminetto danzano
minacciose
sullo sfondo mentre lei sale la scalinata
di
marmo con un delizioso revolver
a canna
corta, decisa a far fuori il suo ex amante, la pelliccia
che lui
le ha regalato appoggiata con noncuranza sulle spalle. O
amabili
e letali
coinvolgimenti!
In un mondo del genere
esser
fedeli.
Qualche
giorno fa si sono chiarite diverse cose
sul
fatto che non abbiamo davanti a noi tutti gli anni che
pensavamo
di avere, Il dottore alla fine ha insistito sul «guscio»
che mi sarei
lasciato
alle spalle, facendo del suo meglio per tenerci lontani
dal velo di
lacrime
e tristi presagi. «Ma
lui ama tanto vivere», ho
sentito
una voce dire.
La
sua. E il giovane dottore, senza neanche una pausa: «Lo so.
Mi
sa che dovrete attraversare quelle sette fasi. Ma alla fine
si
arriva all'accettazione.»
Dopodiché
siamo andati a pranzo in un localino dove non
eravamo mai
stati
prima. Lei ha ordinato manzo affumicato, Io una minestra.
Un
sacco
di
altra gente pranzava lì. Per fortuna però nessuno
che
conoscessimo. Dovevamo organizzarci, col tempo che ci
stringeva
come
una morsa, spremendo via la speranza per far spazio
all'eternità
– una parola che mi faceva venir voglia di gridare:
«C'è mica
un
egizio in sala?»
Una
volta a casa ci siamo abbracciati e, senza
vergogna
o circospezione, abbiamo lasciato che il senso si
compisse tutto. Era
la
fine, perciò ogni scrupolo era per forza una stupidaggine, per
forza
una
follia e una meschinità. Quanti riescono ad arrivare a
questo punto?,
ricordo
di aver pensato allora. Fra non molto ci sarà bisogno
di
una festa, una riunione, un coinvolgimento degli amici,
un
giro di champagne e di
Perrier.
«A Reno», ho detto. «Andiamo a sposarci a Reno».
A
Reno, le ho spiegato, matrimoni e
rimatrimoni
vanno avanti ventiquattro ore al giorno sette
giorni a
settimana.
Non c'è da attendere. Basta dire «sì» e «sì». E se si
allungano
al
prete dieci dollari di mancia, magari ti procura perfino
il
testimone. Certo, anche lei le aveva sentite
quelle
storie dei divorziati che gettano le fedi nuziali nel
fume
Truckee e dieci minuti dopo marciano verso l'altare
con
un nuovo coniuge. Non aveva anche lei gettato l'ultima
vera nuziale
nel
mar d'Irlanda? Però per lei andava bene. Reno era proprio
il
posto giusto. Aveva un vestito di cotone verde che le avevo
comprato a Bath.
L'avrebbe
mandato subito in tintoria.
Ci
stavamo preparando, come se avessimo già trovato la risposta
alla
domanda
su che cosa rimane
quando
non c'è più speranza: il rumore sordo dei dadi che
rotolano
sul
feltro del tavolo, lo scatto secco della roulette,
le
slot-machine che risuonano fino a tarda notte e un'altra,
un'altra
possibilità ancora. E poi la suite che abbiamo prenotato.
Raymond
Carver e Tess Gallagher. Non sapevo nulla di questa splendida coppia.
Avevo
conosciuto e amato lui attraverso i suoi racconti, e ora ho
cominciato ad amare anche lei, o per meglio dire quello che entrambi
rappresentano.
Nella
proposta di cui sopra c'è più o meno tutto quello che bisogna
sapere.
Ray
e Tess, dopo undici anni insieme, decidono di sposarsi. La proposta
viene del tutto naturale: poche parole pronunciate una sera come
tante, davanti alla tv, quando ormai entrambi si conoscono a tal
punto da non doversi troppe spiegazioni.
“O
amabili e letali
coinvolgimenti!
In un mondo del genere
esser
fedeli.”
In
un mondo del genere - il nostro ancor più del suo - un mondo in cui
ognuno esige che l' avventura sia parte integrante della
quotidianità, come se l'emozione del carpe
diem fosse l'unica in
grado di rendere la vita degna di essere vissuta, scendere così in
profondità con un altro essere umano, una comunione spirituale di
cui la fedeltà è solo un dettaglio, sembra un'utopia.
“Dovevamo
organizzarci, col tempo che ci
stringeva
come
una morsa, spremendo via la speranza per far spazio
all'eternità”
Ray
era malato e sapeva che non gli restava più molto tempo, come aveva
detto il dottore.
Quando
realizzi di essere a un passo dalla fine, quando il tempo stringe
spremendo via la speranza per far spazio all'eternità – che
immagine meravigliosa e intrisa di lacrime – è allora che sei
costretto a organizzarti. Anche se, come Ray, hai sempre vissuto alla
giornata, evitando i progetti a lungo termine, spendendo tutti i
sogni e le energie giorno per giorno senza mettere da parte niente
per il futuro.
“Dio
non voglia che sacrifichiate il presente per il futuro! Nel presente
c'è giovinezza, salute, fuoco; il futuro non è che fumo e inganno!
Appena avete vent'anni, cominciate a vivere!”
[Anton
Cechov, il consigliere segreto]
Ray
e Tess che leggono i racconti di Cechov e li commentano insieme. Ray
e Tess che ne isolano alcune frasi e ne fanno poesie. Ray e Tess che
condividono la passione per la letteratura e per la poesia, e per la
vita che ne è il cuore pulsante.
L'inizio
della fine porta con sé una serie di inevitabili riflessioni.
“Quanti
riescono ad arrivare a
questo punto?,
ricordo
di aver pensato allora.”
Al
punto di lasciarsi andare completamente, di mostrarsi in tutta la
propria vulnerabilità; in quella stessa imperfezione che ci
affanniamo a nascondere al mondo intero con le nostre maschere
sapientemente costruite. Non sono molte le persone con cui, nel corso
di una vita, riusciremo a spogliarci completamente, a metterci a nudo
per quelli che siamo. C'è sempre una sorta di malcelato pudore nel
mostrare la propria anima, l'essenza più profonda del nostro essere,
qualcosa che non ha niente a che vedere con la vergogna dei corpi,
che possono scoprirsi serenamente senza rischiare di rivelare nemmeno
un pezzettino di ciò che abbiamo di più prezioso.
Decidono
di sposarsi a Reno, Ray e Tess. Una scelta che, fatta da chiunque
altro, mi sarebbe apparsa banale, ai limiti dello squallore, con la
sposa sprovvista di un vestito da favola e di tutto l'armamentario
richiesto e uno sposo smarrito, lontano dalla consueta solennità
dell'evento.
Reno,
come Las Vegas, è una fabbrica di seconde chance, di matrimoni
celebrati su due piedi e di vincite al casinò che ti cambiano la
vita.
Ci
stavamo preparando, come se avessimo già trovato la risposta
alla
domanda
su che cosa rimane
quando
non c'è più speranza: il rumore sordo dei dadi che
rotolano
sul
feltro del tavolo, lo scatto secco della roulette,
le
slot-machine che risuonano fino a tarda notte e un'altra,
un'altra
possibilità ancora. E poi la suite che abbiamo prenotato.
Gli
ultimi versi danno i brividi.
Cosa
rimane quando non c'è più speranza?
Le
immagini del gioco, del tavolo verde, coi dadi che rotolano e la
roulette che gira, sono soltanto un miraggio, il sogno di una vita
migliore che ci appare tale proprio in virtù della sua estraneità
alla realtà, o almeno alla nostra di realtà.
L'ultima
frase “E poi la suite che abbiamo prenotato” ci riporta di colpo
al presente, all'hic et nunc, che non ha bisogno di vincite
milionarie per essere esattamente ciò che che vogliamo.
Uno
sproloquio metaletterario, il mio, nato dritto dritto dalla
commozione provata per questa coppia tanto unita e così affine dal
punto di vista intellettuale e artistico.
Questa
poesia, come tutte le altre che Carver scrisse nel corso della sua
breve ma intensa vita, potete trovarla nella raccolta da poco
ripubblicata da minimum fax, Orientarsi con le stelle.
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